Caos sul rifiuto dei tamponi, ma per legge non sono obbligatori

A stabilirlo è l’art. 32 della Costituzione e le ordinanze non prevedono una procedura di trattamento sanitario di carattere obbligatorio che assumerebbe, altrimenti, rilievi di palese contrasto con il disposto costituzionale

CATANZARO – Il rientro dalle zone del nord verso le residenze del sud del nostro Paese, come da DPCM del 26 aprile 2020, ha scatenato tutta una serie di sommosse popolari evidenziate e veicolate attraverso i social. Con l’opinione pubblica divisa tra favorevoli o contrari lo scontro si è accentuato in particolar modo con il diniego di molte persone rientrate a sottoporsi a tampone. Ma potevano davvero rifiutarsi? Al di là del populismo sterile e dalle rimostranze sui social vediamo effettivamente se il rifiuto è legittimo o meno.

Partiamo dalla considerazione che forse o meglio sicuramente sarebbe stato più opportuno effettuare i tamponi nei luoghi di partenza e non di arrivo per tutta una serie di considerazioni che abbiamo già trattato, ma occorre dire che questa obbligatorietà non esiste. Non esiste in Calabria, non esiste nelle altre regioni del sud che hanno e stanno affrontando questo problema. Avendo il DPCM demandato alle regioni i controlli e i tamponi attraverso proprie ordinanze, il chiarimento si ricava da una lettura costituzionalmente orientata della previsione in esame.

In applicazione a quanto disposto dall’articolo 32 della Costituzione, infatti, è riservato esclusivamente alle norme di legge prevedere eventuali accertamenti e trattamenti sanitari di carattere obbligatorio. Una ordinanza regionale non è in alcun modo orientata o legittimata, né potrebbe esserlo, a prevedere una procedura di trattamento sanitario di carattere obbligatorio, che assumerebbe rilievi di palese contrasto con il disposto costituzionale. Una posizione questa confermata anche da una precisazione dei medici del lavoro e della Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML) che sostengono che “Nessun tampone né test sierologico ai lavoratori per la ripartenza perché non risultano obbligatorie per legge“.
Guardano alle altre regioni, ad esempio alla Basilicata, in un chiarimento sull’ordinanza numero 20 del 29 aprile 2020, a firma del Capo di Gabinetto del Presidente Bardi, Fabrizio Grauso, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata, si legge:L’autorità sanitaria competente potrà disporre il trattamento solo previa accettazione e partecipazione del soggetto interessato, rappresentando al medesimo che si tratta, ai fini della tutela dell’igiene e della sanità pubblica, di una misura tesa all’urgente necessità, in ragione dello stato di emergenza epidemiologica in atto per il contenimento e il contrasto del contagio da COVID-19.
In caso di diniego del consenso l’interessato non potrà essere sottoposto al tampone”. 

Nella foto sottostante riportiamo quanto previsto dalla ordinanza emanata dal presidente della Regione Calabria


Dunque, chi si è rifiutato di sottoporsi a tampone lo ha fatto probabilmente con la conoscenza di questi disposti normativi ma aggiungiamo anche con molta superficialità e con scarsissimo senso civico perché sottoporsi a questo esame avrebbe evitato loro una quarantena obbligatoria di 14 giorni e in caso di positività un isolamento restrittivo avrebbe messo in sicurezza loro stessi e gli altri.

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