Lettera aperta la Presidente del Cosiglio, Mario Draghi

di Francesca Straticò

Sig. Presidente,
Le scrivo solo un attimo dopo aver finito di ascoltare il suo discorso in Senato, per cercare di non lasciarmi sfuggire nessuna delle sensazioni e delle riflessioni che mi ha suscitato. Lei ha esordito evidenziando la sua emozione, ed è stato rassicurante constatare quanto fosse vera. L’emozione è stata rinvenibile in qualche sua esitazione, nel tono di voce , in alcune pause e, soprattutto, nell’imprevedibile errore di lettura di quei numeri economici dei quali è, invece, uno dei massimi esperti. La sua era un’emozione carica di voglia di far bene e, poco importa se la sua voglia di far bene provenga dalla necessità di ottenere l’ennesima conferma del suo valore e sia meramente espressione di personale orgoglio o se, invece, derivi da profondo senso etico e di responsabilità. Non importa perché, la verità è che, tutti noi, oggi, abbiamo un indifferibile bisogno che qualcuno abbia voglia di “far bene”. Di certo c’è che, poter riscontrare emozione in lei, che tanta esperienza e competenza ha acquisito nello svolgimento di ruoli centrali sortendo incontestabili effetti, rende ancora più evidente la disdicevole arroganza di coloro che, soprattutto in questi ultimi anni, hanno sfrontatamente usato poteri, acquisiti ed esercitati, in totale assenza di meriti. Del suo discorso è molto apprezzabile il linguaggio chiaro ed esplicito, tipico di un pragmatismo tecnico messo a disposizione di una dialettica squisitamente politica, solo apparentemente pacata, ma non priva della capacità di sferrare affondi diretti a precisare la non negoziabilità di questioni ritenute preminenti. Una sua chiara manifestazione di insofferenza alle espressioni di populismo – volgari ed insidiose -, di insofferenza alla ricerca di notorietà perseguita mediante l’uso protratto di polemiche sterili, ed una invocazione, invece, all’immediata assunzione della responsabilità necessaria al superamento di questo gravoso momento. Penso sia condivisibile ed anche doverosa, la sua attenzione alle tante vittime della pandemia, quelle che hanno perso la vita o il lavoro oppure la prospettiva di un futuro rassicurante e, persino, la speranza che qualcosa possa cambiare. Condivisibile e doveroso è stato anche il ringraziamento al Prof. Conte, chiamato a svolgere la funzione di Presidente del Consiglio in un momento molto delicato della storia del nostro Paese, reso ulteriormente complicato, come avrà modo di sperimentare personalmente, dal confronto con interlocutori politici molto poco illuminati, poco inclini alla comprensione e, per lo più, privi di alcuna vera competenza. Poco comprensibile è, invece, un troppo fugace, passaggio sulla necessità di riformismo che, peraltro, sarebbe stato bello sostenesse con la citazione di esponenti più attinenti e coerenti in luogo del menzionato Cavour. Riformisti puri, per intenderci, alla maniera di Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Claudio Treves, Giacomo Matteotti, Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli. E’ apparsa invece poco emozionante e coinvolgente, la sua citazione di Cavour, con il quale certamente condivide idee liberali di progresso economico, ma con il quale, ci auguriamo, non si identifichi nel ruolo di esponente della destra storica che fece anche leggi in evidente conflitto d’interessi, che favorì politiche monopolistiche ed agì in spregio della cittadinanza stringendola nella morsa di oneri, tasse e tributi. Dovremmo sentirci confortati dalla circostanza che lei ha dedicato un’intera parte del suo intervento allo spirito repubblicano del suo governo e, questo, dovrebbe porla in rilevante distanza dal Cavour che osteggiò fortemente le idee repubblicane del suo tempo, è pur vero, però, che la sua asserzione: “la crescita di un’economia di un Paese non scaturisce solo da fattori economici ma dipende dalle istituzioni” presta il fianco a diverse interpretazioni, una delle quali la vede stringere un po’ troppo fortemente le redini del futuro sviluppo di questo Paese, tanto da sembrare confliggente con lo spirito repubblicano invocato e con la conseguente priorità delle previsioni costituzionali, ma sul punto, l’onere di garanzia è nelle, più che autorevoli e competenti, mani della Ministra Cartabia. Del suo intervento appare convincente anche la dimostrata attenzione alle generazioni future, ma viene doveroso chiedersi, se non debba qualche attenzione anche alla generazione degli odierni quarantenni e cinquantenni, ovvero quella che, per come ha lucidamente ammesso, proprio la sua generazione ha sacrificato sull’altare di una egoistica conservazione del potere, mortificando l’insegnamento ed il lascito morale di padri e nonni. Bene Sig. Presidente, la generazione di cui parlo, è quella ancora più pregiudicata rispetto ai giovani d’oggi, perché è quella che, nel momento della sua formazione, non ha potuto contare sulla diffusione delle tecnologie per superare i gap, quella che ha visto bloccato l’ascensore sociale ed ha pagato caro il prezzo della disparità data dall’appartenenza o meno, a contesti che si potevano permettere università private e studi all’estero; è la generazione che ha visto lo svilimento e la mortificazione dei talenti e che ha visto premiate, invece, l’appartenenza a gruppi elitari e di potere. Il paradosso è che, questa generazione di cui parlo e che risulta essere la più vessata da condotte antidemocratiche nella storia della nostra Repubblica, oggi si trova a dover sostenere il peso di grandi rinunce, perché è quella che contribuisce più diffusamente al gettito fiscale, e lo fa con estremo sacrificio rappresentando, in larga misura, quella classe media o medio bassa alla quale viene richiesto costantemente di dare molto più di ciò che riceve in cambio, in termini di fruibilità di diritti e prestazioni. Una generazione, dunque, che si è vista sottratta il diritto alla realizzazione delle proprie aspettative prima, dalla protervia della generazione che l’ha preceduta e poi dalla, pur doverosa, attenzione data ai giovani della generazione successiva. Un vero spirito riformista, non può voltare le spalle a questa generazione di cui parlo e rifiutarsi di guardare ai danni che ha subito e non può esimersi dal destinarle adeguate risorse, in parte compensative di quel, forse insanabile, debito di coscienza e di onore che il nostro Paese ha nei suoi confronti.
Tante sono le parti del suo discorso e del suo programma che appaiono universalmente condivisibili, quali la necessità di utilizzare adeguatamente i fondi europei per dare impulso all’economia, rispettare l’ambiente, investire nella diffusione delle tecnologie digitali, nella formazione, nella specializzazione e nella ricerca, puntare sull’efficienza e sulla sostenibilità, tutte talmente condivisibili da risultare, persino, ovvie, se pronunciate da un uomo della sua caratura professionale e della sua esperienza. Le scriverò, invece, sommessamente, di ciò che non mi pare condivisibile. Lei ha dichiarato che non crede che il suo Governo sia nato in conseguenza del fallimento della politica, temo, invece, che non solo ne sia la diretta conseguenza, ma anche che, se non fosse stata chiara l’evidenza di questo fallimento, non sarebbe lei, pur con tutti i suoi meriti inequivocabili, ad essere, oggi, il nostro Presidente del Consiglio. Credo che lo sia perché in assenza di qualità della rappresentanza politica, la politica stessa è assente. Perché a concorrere all’attuale “compromesso” per il bene del Paese non ci sono né Moro, né Berlinguer, e ne avremo tutti tristemente la prova quando si renderà necessaria la concreta condivisione delle scelte difficili che, anche suo malgrado, sarà costretto a compiere. Credo che lo sia perché, presto pagherà e pagheremo forse tutti, il prezzo di una solitudine intellettuale ed intellettiva al limite del sopportabile e perché sarà spesso chiamato ad intervenire proprio sui disastri provocati da questo fallimento. Desta, inoltre, un amaro sentore di retorica il suo parlare di equità di genere, attesa la composizione del suo governo, i cui Ministeri sono stati affidati prevalentemente ad uomini. Sig. Presidente, i dati che ha riferito con dovizia di particolari numerici e percentuali, ci dicono che l’Italia è ancora un paese misogino e discriminante, che ha urgente bisogno, nell’interesse del paese stesso e non già delle donne, di recuperare il grave ritardo nel raggiungimento della equità di genere e, se è vero, come ha asserito, che non saranno le sole quote rosa ad agire come correttivo, meno ancora lo saranno affermazioni farisee contraddette dai fatti. Mi auguro sentitamente che lei non proponga, e che i partiti, tutti, non perseguano e non accettino, diffuse nomine di vice ministro a donne, perché sarebbe una circostanza ancora più umiliante della loro assenza nel governo e sancirebbe e ratificherebbe quella subalternità che costituisce, invece, il nemico culturale da abbattere. Non è piacevole constatare, l’assenza, a dire il vero poco comprensibile in questo momento storico, di chiari ed espliciti riferimenti alla necessità di politiche sociali e di quel socialismo storico costruttivo di uguaglianza e dignità sociale e nemico delle disparità, che rende la democrazia realmente operativa ed efficace nel raggiungimento degli obiettivi di evoluzione e progresso, preservandola dal rischio di dicotomia tra queste due differenti, ed ugualmente importanti, mete. Infine, Sig. Presidente, non penso sia né giusto né utile, l’omessa valorizzazione dell’importanza, per il futuro dell’intero Paese, di quella sua meravigliosa e preziosa parte, costituita dall’area più meridionale. Lei ha citato il mezzogiorno solo in due occasioni, riferendosi alla mancanza di adeguata diffusione di tecnologia digitale rilevata durante la didattica a distanza ed asserendo che la equità di genere, nei nostri territori, sia determinata anche da difetto di autodeterminazione. Integrando una, purtroppo diffusa, pratica di approccio superficiale nell’osservazione del sud Italia che può indurre ad errori d’impostazione ideologica ed interpretativa. Istintivamente si sarebbe tentati dal prendere le distanze e stigmatizzare l’assenza nel suo Governo di un adeguato numero di Ministri meridionali, presenti solo nella persona della Ministra Carfagna. Vogliamo, però, cambiare il punto di osservazione di questa omissione e rilevare come, ancora una volta, sia una conseguenza ascrivibile alla mancanza di qualità della nostra rappresentanza parlamentare che, evidentemente, in questi anni non è stata capace di esercitare una giusta pretesa di considerazione ed indurre ad un adeguato rispetto per i nostri territori, e che, soprattutto, non è stata capace di veicolare informazioni sulle infinite potenzialità e risorse del meridione d’Italia, che sono per lo più vergini di alcun utilizzo e, come tali, potenzialmente utili a costituire basi strategiche per nuovi programmi di sviluppo sostenibile. Con partecipazione ed entusiasmo, l’abbiamo sentita parlare di Europa e di europeismo, di visione prospettica nazionale e sovranazionale diretta a creare ed intensificare rapporti con territori dell’area mediterranea come i Balcani ed il Nord Africa, bene, non dimentichi allora che, proprio nel mezzo, c’è il nostro mezzogiorno, c’è la infungibile potenzialità dei suoi chilometri di coste e la necessità di essere reso tatticamente dotato di ogni assetto infrastrutturale necessario a quello sviluppo che lo renderà volano dell’intero Paese e che costituirà motivo e ragione della diversa auspicabile rilevanza dell’intero continente Europa. Alla sua raffinata capacità d’individuare concrete potenzialità, non può certo sfuggire come la posizione del nostro mezzogiorno, abbia la capacità di costituire l’antidoto e sovvertire quel pericoloso strumento che la Cina chiama “belt and road initiative” ovvero lo spazio indo-pacifico costituito dalla vastissima area per lo più marina, che va dal Medio Oriente fino alle Hawaii, spazio nel quale odiernamente si fronteggiano e si giocano le sorti delle due più grandi potenze economiche. Il sud Italia, quale spazio europeo meglio collocato nell’area mediterranea, può incidere e divenire una prioritaria rotta commerciale ed energetica sulle future mappe di progetti di espansione economica e su future alleanze militari, con buona pace e conforto per quel suo Atlantismo che sembra starle tanto a cuore e che non omette mai di menzionare. Sig. Presidente Draghi, nel suo mandato che ci auguriamo essere proficuo, si lasci ispirare dal più grande e lucido visionario dei nostri tempi che è Papa Francesco, il quale, con incommensurabile intuito anche politico, ha individuato nella povertà il problema principale di questo nostro tempo ed il vero nemico da sconfiggere ” La povertà” dice Papa Francesco “ non è mai un problema di risorse ma solo di equità” .
Combatta, dunque, la mancanza di equità, la vinca e non punti a meno che a far parte della storia, ci aspettiamo tutti che lei lo faccia e, soprattutto, che lo faccia nel suo stile “whatever it takes”, “ad ogni costo”

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