La politica e l’odio seriale. Se la sinistra non rivede il proprio modo di fare politica è destinata a scomparire

Una frase ricorrente nel gergo comune è: “Il mondo è cambiato”. Il chiaro riferimento è alla evoluzione dei tempi che ha portato con sé una serie di cambiamenti anche nel modo di pensare, di esprimersi, e di vivere all’interno della comunità, intesa sia ristretta cerchia territoriale di appartenenza che nel villaggio globale chiamato mondo. Ma quando ci esprimiamo dicendo che “il mondo è cambiato” lo facciamo per spiegare un peggioramento delle condizioni di vita relazionale. Diventa sempre più vivida e palese la tendenza a considerare il proprio modo di pensare preminente rispetto a quello dell’altro che sia un amico, il vicino o un avversario politico. Qualcuno dirà, questo è il frutto della globalizzazione e l’avvento dei social media che ha dato voce a chi qualche anno fa non si sarebbe immaginato di poter avere a disposizione uno strumento così importante per poter esprimere il proprio pensiero. Già l’espressione del pensiero. È questo il grande dilemma. È chiaro e palese che chiunque può esprimere il proprio pensiero con la libertà riconosciuta dalla democrazia costituzionalmente garantita ma l’abuso dell’espressione del pensiero diventa spesso una arma distorta per colpire, il più delle volte ingiustamente chi si ritiene antipatico, scomodo o comunque una persona o un gruppo di persone da prendere di mira perché ostativi dei propri fini. Ed allora mascherati dietro il diritto di esprimere il proprio pensiero si alimenta il più delle volte l’odio, il rancore che facilmente possono sfociare nella violenza. Il mondo, sia a livello locale che a livello internazionale è pieno di esempi. Basti guardare ad Est e in Medioriente per capire il senso di queste parole. In tutto questo la Politica (forse occorrerebbe scriverla con la “p” minuscola) acquista prepotentemente un ruolo fondamentale nell’alimentazione dell’odio e nella demonizzazione dell’avversario. La politica, ed in particolare i partiti politici che dovrebbero essere il volano su cui ruota la democrazia, non quella fittizia ma quella vera e non nociva, si pone ormai da qualche decennio al centro di conflitti e attacchi diretti a screditare l’avversario. L’inghippo democratico sta proprio in questo. Chi fa politica non dovrebbe screditare ma dovrebbe proporre per consentire una scelta serena ai cittadini. Ma evidentemente questo modo di comprendere la democrazia non appartiene a questa classe politica. Negli ultimi tempi questa contrapposizione fatta di odio e rancore sembra appartenere più alla sinistra che destra, che la storia ci ha sempre descritto come intollerante e tracotante. Negli ultimi tempi si sta diffondendo la moda nel giudicare chi la pensa diversamente da te come “fascista”, “omofobo”, “razzista” e chi più ne ha più ne metta. Questa tendenza che poteva essere considerata all’inizio pericolosa perché attentatrice delle basi della più semplice democrazia oggi sta diventando ridicola e per questo forse ancora più pericolosa di prima. Che cosa si intende con questo? Semplice. Mentre in passato etichettare una persona omofoba, razzista, fascista era basato su fatti davvero gravi e ripudianti, oggi invece è divenuto un modo comune di parlare e di considerare l’altro se non dovesse pensarla come te, sminuendo una espressione, un vocabolo, svuotandolo del suo vero significato. Questo naturalmente perché difronte a determinati argomenti o ci si allinea al pensiero fondamentalista senza possibilità di distinguo, o si è ad esempio omofobi. Facciamo un esempio. Se si è favorevoli alle unioni tra gay ed ai loro diritti civili ma non si è d’accordo sulla adozione alle coppie gay, si viene etichettati come omofobi con il circo mediatico, capitanati da lobby e da partiti di sinistra, pronto a scaraventarti addosso veleno e non solo. Ed ancora, se si è d’accordo con l’accogliere gli immigrati e sul fatto di dare loro una dignità seguendo le regole che gli organi nazionali ed europei hanno imposto, ma si condannano i crimini commessi da quelli irregolari e non solo ponendo al centro della discussione la questione per risolvere il problema (vedi nelle grandi città) vieni additato come razzista. Se si vuole avviare un ragionamento sulla questione Palestinese partendo da quelle che sono le colpe da ambo i lati e la ricerca di una soluzione, oggi occorre stare attenti a come si usano le espressioni e le parole perché potresti essere tacciato di sionismo o di jihadismo quando in realtà non si è né l’uno e né l’altro. Ultimamente, e lo si afferma con la tristezza nel cuore, la sinistra italiana è diventata campione olimpica di attacchi premeditati contro gli avversari e sempre su due o tre temi: immigrazione, diritti dei gay e giustizia (forse sarebbe meglio dire giustizialismo alla faccia di chi li considerava o si proclamava essere garantisti). Alzi la mano chi conosce delle proposte politiche del PD ad esempio a favore delle famiglie che vivono in condizione di disagio, o di chi conosce proposte dirette a garantire una giustizia equa o di proposte per risolvere la questione lavoro e/o precariato. Su quello della giustizia occorrerebbe aprire una parentesi grande quanto il mondo. Sull’argomento specifico, ma in particolare su tutti gli argomenti di interesse comune, la sinistra utilizza due pesi e due misure, dipende a quale scuola di pensiero appartieni o dell’argomento affrontato (vedi guerra in Palestina e quella in Ucraina). Il risultato elettorale delle Marche la dice lunga sulla situazione in cui versa la sinistra italiana. Oggi essa si è abituata e ha abituato i suoi seguaci a parlare per slogan il che rende impensabile un confronto serio. Non occorre andare lontano per capire il senso di queste parole. Ieri il candidato presidente alla presidenza della regione Calabria, Tridico, è giunto a Paola (dopo che l’aveva saltata a pie’ pari nelle settimane scorse) parlando per slogan e senza una proposta concreta su quelle che sono le esigenze della città quale comune calabrese. Come si può venire a Paola e dire di non votare candidati paolani solo perché appartenenti alla Lega o a Fratelli d’Italia o a qualunque altro partito avverso alla sua coalizione. Purtroppo questo è modus operandi a sinistra perché chi vota Fratelli d’Italia è automaticamente un fascista e chi vota la lega è automaticamente un razzista quando poi i loro candidati hanno dimostrato nel corso della loro vita professionale umana e politica di essere l’esatto opposto. Ma questo non ha nessuna importanza. Quello che è importante è lo SLOGAN. Ad esempio qualcuno ha inneggiato ad un comitato di “benvenuto” nei confronti di Salvini che sarà in città il 1 ottobre alimentando odio. E questa possiamo chiamarla democrazia? Lo si voglia o meno Salvini, come Lollobrigida, Calderone ed altri sono dei ministri della Repubblica Italiana che in passato hanno potuto commettere degli errori politici (e chi non ne commette) ma che oggi devono essere giudicati per ciò che compiono nell’esercizio delle proprie funzioni. Prendiamo ad esempio Salvini. Ha potuto avere in passato anche delle espressioni irriguardosi nei confronti dei cittadini del sud Italia ma oggi nulla, nel suo agire istituzionale lascia intravedere comportamenti o politiche avverse al sud e/o alla Calabria. Ad esempio il Ministro delle Infrastrutture è uno che sta facendo di tutto per rifinanziare il porto turistico, frutto dell’intuizione di un altro politico di centrodestra (Fausto Orsomarso – Fratelli d’Italia), sta investendo miliardi per una grandiosa opera come il ponte sullo stretto (ma anche qua chi non la pensa come la sinistra è sprecone di denaro pubblico o addirittura mafioso), si sta prodigando per il raddoppio della Santomarco e per l’alta velocità a Paola e per le opere di compensazione. A questo punto ci si chiede cosa dovrebbe fare di più un ministro della Repubblica? Oppure dovremmo chiedere agli odiatori seriali quali sono le loro proposte alternative a quanto messo in cantiere. Al momento sono pari a zero. La realtà dei fatti è che la sinistra italiana si è trasformata tristemente (e lo si afferma con la morte nel cuore) in “Radical Chic”, amante del denaro, dei vizi, della popolarità ma pronta a mostrarsi in pubblico come l’esatto contrario. Qualcuno molto più in alto di noi duemila anni fa li avrebbe definiti “sepolcri imbiancati”, ma per noi che siamo umani del ventunesimo secolo invece è più facile e spontaneo usare un’altra espressione: “siamo tutti comunisti con il deretano degli altri”. Ma purtroppo non funziona più così. Se ne sono accorti prima chi nella sinistra, quella democratica e non assolutista, ci credeva e se ne sono accorti anche i cittadini italiani che hanno votato la Meloni e che di questo passo continueranno a votare non sappiamo per quanti altri anni. Ed allora l’auspicio è che si ritorni a discutere di politica con proposte e non con slogan, con il confronto e non contrapposizioni per partito preso, con il dialogo e non con le accuse perché questo ci hanno insegnato i nostri padri costituenti che pensate, nella loro grandezza e democraticità, dopo aver ripudiato giustamente il fascismo e le sue espressioni, consentirono ai gerarchi fascisti il diritto costituzionalmente garantito di rimettersi in gioco, di fare politica e occupare ruoli istituzionali. Questa è la più grande espressione di democrazia che forse il mondo abbia mai conosciuto ed è Made in Italy. Non distruggiamola!